REGOLE COMUNI DELLA
CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE
VINCENZO DE PAOLI,
SUPERIORE GENERALE DELLA
CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE
Ai nostri diletti fratelli in Cristo
Sacerdoti, chierici e laici
della stessa congregazione
Salute nel Signore
Ecco finalmente, fratelli carissimi, ecco le Regole o Costituzioni comuni della nostra Congregazione, che avete così ansiosamente desiderato e così lungamente atteso.
Prima di consegnarvele stampate, abbiamo lasciato trascorrere circa trentatré anni dalla fondazione della stessa Congregazione; ma abbiamo agito in tal modo di proposito, sia per conformarci a Cristo Salvatore nel fatto che Egli cominciò prima a fare e poi ad insegnare, sia per ovviare agli innumerevoli inconvenienti a cui inevitabilmente avrebbe potuto dare origine una prematura edizione delle medesime Regole o Costituzioni, nel caso in cui la pratica abituale avesse potuto apparire in seguito o troppo ardua o poco opportuna.
Ora questa consegna, volutamente ritardata, e questo metodo di lavoro ci hanno permesso di eliminare, con l’aiuto di Dio, tali inconvenienti; anzi hanno ottenuto lo scopo che la Congregazione, gradatamente e senza alcuna difficoltà, applicasse le Regole prima ancora che esse venissero stampate.
Nulla, infatti, riscontrerete in esse che non abbiate già da gran tempo costantemente praticato, con mia grandissima consolazione e con reciproca vostra soddisfazione.
Ricevetele dunque, fratelli carissimi, con quel medesimo affetto con cui ve le consegniamo. Consideratele non come prodotte dallo spirito umano, ma piuttosto come emanate dallo Spirito di Dio, da cui procede ogni bene e senza il quale, da soli, non siamo in grado di pensare alcuna cosa come proveniente da noi. Infatti, cosa trovereste in esse che non vi accenda e stimoli o alla fuga dei vizi o all’acquisto delle virtù e alla pratica dei consigli evangelici? Per questa ragione ci siamo preoccupati, per quanto ci fu possibile, di attingere tutte le Regole dallo spirito di Gesù Cristo e dalle opere della sua vita, come è facile constatare, in quanto abbiamo ritenuto che gli uomini chiamati a continuare la missione stessa di Cristo, la quale consiste soprattutto nell’evangelizzazione dei poveri, debbano avere gli stessi sentimenti e affetti di Cristo, anzi debbano essere ripieni del suo spirito e seguirne le orme.
Infine, fratelli, vi preghiamo e scongiuriamo nel Signore Gesù, di impegnarvi nell’osservanza esatta di queste Regole, fermamente convinti che, se le osserverete, esse salveranno voi e vi condurranno infallibilmente al fine sospirato che è la beatitudine celeste. Amen.
gesù, maria, giuseppe.
REGOLE COMUNI DELLA
CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE
Capitolo I
istituzione e fine della Congregazione
1. — Nostro Signore Gesù Cristo, inviato nel mondo per salvare l’umanità, come attesta la sacra Scrittura, cominciò a fare e ad insegnare. Adempì la prima cosa praticando alla perfezione ogni virtù; la seconda evangelizzando i poveri e trasmettendo agli apostoli e ai discepoli la scienza necessaria a guidare i popoli. E poiché la piccola Congregazione della Missione, con la grazia di Dio e nei limiti delle sue deboli forze, aspira a imitare lo stesso Cristo Signore, sia nelle sue virtù, sia nei ministeri diretti alla salvezza del prossimo, è conveniente che per realizzare questo pio proposito si serva degli stessi mezzi. Perciò il suo fine è: 1° attendere alla propria perfezione, sforzandosi di praticare le virtù, che questo sommo Maestro si è degnato insegnarci con le parole e con l’esempio; 2° evangelizzare i poveri, specialmente quelli della campagna; 3° aiutare gli ecclesiastici ad acquistare la scienza e le virtù necessarie al loro stato.
2. — La Congregazione è formata di ecclesiastici e di laici. Il compito degli ecclesiastici è quello di percorrere, ad esempio di Cristo medesimo e dei discepoli, le borgate e i villaggi per spezzare il pane della parola di Dio alla povera gente con la predicazione e la catechesi; esortare alla confessione generale della vita; comporre le contese e le liti; fondare la Compagnia della Carità; assumere la direzione dei seminari per gli esterni eretti nelle nostre case e insegnare in essi; tenere corsi di esercizi spirituali; convocare presso di noi conferenze di ecclesiastici esterni e dirigerle; prestare altri servizi relativi e conformi ai suddetti ministeri. Il compito affidato ai laici è quello di offrire assistenza agli ecclesiastici in tutti i ministeri sopra accennati, compiendo l’ufficio di Marta, secondo le disposizioni del Superiore, e cooperandovi con le preghiere, le sofferenze, le mortificazioni e la testimonianza personale.
3. — Affinché poi la Congregazione, sotto l’impulso della grazia di Dio, raggiunga il fine che si è proposto, è necessario che si impegni con tutte le forze a rivestirsi dello spirito di Cristo, che risplende in piena luce nella dottrina del Vangelo; nella sua povertà, castità e obbedienza; nella carità verso gli infermi; nella sua modestia; nel modello di vita e di azione che Egli ha trasmesso ai suoi discepoli; nei rapporti umani; negli esercizi di pietà di tutti i giorni; nelle missioni e negli altri ministeri che esercitò in favore della gente. Tutti questi insegnamenti sono raccolti nei capitoli seguenti.
Capitolo II
le massime evangeliche
1. — Prima di tutto ciascuno cercherà di fondarsi saldamente in questa verità, che la dottrina di Cristo non potrà mai ingannare, mentre la dottrina del mondo è sempre fallace, dal momento che Cristo stesso afferma che quest’ultima è simile ad una casa edificata sulla sabbia, la sua invece si può paragonare ad una casa fondata sulla solida roccia. Per questa ragione la Congregazione farà professione di comportarsi sempre secondo le massime di Cristo e mai secondo quelle del mondo. Per raggiungere tale scopo si atterrà soprattutto alle norme che seguono.
2. — Poiché Cristo ha detto: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose, di cui avete bisogno, vi saranno date in aggiunta » (Mt 6, 33), ciascuno si sforzerà di preferire i beni spirituali a quelli temporali, la salvezza dell’anima alla salute del corpo, la gloria di Dio alla vanità mondana. Anzi si proporrà di scegliere, con san Paolo, l’indigenza, il disonore, le torture e perfino la morte piuttosto che essere separato dalla carità di Cristo. Perciò non si angustierà per i beni terreni; anzi affiderà al Signore le sue preoccupazioni, convinto che fin quando sarà radicato in questa carità e fondato sopra questa speranza, rimarrà sempre sotto la protezione del Dio del cielo; e così non gli accadrà alcun male e non rimarrà privo di alcun bene, anche se gli sembrasse che tutto stesse per andare in rovina.
3. — Poiché quella pia pratica che consiste nel fare sempre e in tutto la volontà di Dio è un mezzo sicuro per raggiungere in breve tempo la perfezione cristiana, ciascuno farà il possibile per rendersela familiare, compiendo queste quattro cose: 1° eseguire nel dovuto modo gli ordini e rispettare le proibizioni, tutte le volte che ci risulti che tali ordini e proibizioni provengono da Dio o dalla Chiesa o dai nostri Superiori o dalle Regole o Costituzioni della nostra Congregazione; 2° qualora sia indifferente compiere un’azione o un’altra, scegliere quelle che contrastano con la nostra inclinazione naturale a preferenza di quelle che l’assecondano, a meno che queste ultime non siano necessarie, nel qual caso sono da preferirsi, non però in quanto soddisfano i nostri gusti, ma perché sono più gradite a Dio. Se poi ci si presentano insieme più possibilità d’azione, per sé indifferenti, che non sono né piacevoli né spiacevoli, allora è opportuno applicarsi ad una qualunque di esse come offertaci dalla divina Provvidenza senza ricercarvi la nostra soddisfazione; 3° accettare con serenità di spirito, come proveniente dalla mano paterna di Dio, tutto ciò che può inaspettatamente accaderci, sia esso contrario o favorevole, sia in relazione al corpo, sia in relazione all’anima; 4° fare tutto ciò che è stato detto sopra per questa precisa ragione, perché tale è la volontà di Dio e per imitare con questo comportamento, per quanto ci è possibile, Cristo Signore il quale agiva sempre in questo modo e per il medesimo scopo, come Egli stesso attesta: « Io faccio sempre le cose che sono gradite al Padre » (Gv 8, 29).
4. — Poiché nostro Signore esige da noi la semplicità della colomba, che consiste sia nel dire apertamente la verità come si ha nel cuore e senza inutili riflessioni, sia nell’agire senza inganno e senza raggiri, con l’intenzione rivolta soltanto a Dio, per questa ragione ciascuno si impegnerà a comportarsi in tutto con il medesimo spirito di semplicità, riflettendo che Dio parla ai semplici e tiene nascosti i segreti celesti ai sapienti e prudenti di questo mondo, mentre li rivela ai piccoli.
5. — Ma poiché Cristo, mentre raccomanda la semplicità della colomba, ci impone contemporaneamente di tenere in grande onore la prudenza del serpente, virtù questa che ci fa parlare e agire con discrezione, perciò taceremo prudentemente quelle cose che non è opportuno rivelare, soprattutto quando sono in sé stesse sconvenienti e illecite. Se poi si tratta di cose sostanzialmente buone o lecite, ometteremo le circostanze che possono compromettere l’onore da rendersi a Dio o il bene del prossimo o indurre il nostro cuore alla vanagloria. Poiché, inoltre, la prudenza nell’agire riguarda la scelta dei mezzi idonei a raggiungere il fine, sarà per noi norma sacra e inviolabile usare mezzi divini in ciò che riguarda Dio e pensare e giudicare le cose secondo il pensiero e il giudizio di Cristo, mai del mondo, e mai neppure in base al debole ragionamento del nostro intelletto. è in questo modo che saremo prudenti come serpenti e semplici come colombe.
6. — Tutti parimenti metteranno grande diligenza nell’apprendere questo insegnamento trasmessoci da Cristo: « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore » (Mt 11, 29), persuasi – come Egli stesso afferma – che con la mansuetudine si possiede la terra, in quanto con la pratica di questa virtù si conquistano i cuori degli uomini per condurli a Cristo; scopo che non ottengono coloro che trattano il prossimo troppo duramente e aspramente. Con l’umiltà poi si conquista il cielo, al quale ci innalza l’amore della nostra abiezione, conducendoci di grado in grado e di virtù in virtù fino a raggiungerlo.
7. — Ora questa umiltà, che Cristo medesimo ci ha tanto spesso raccomandato con le parole e con l’esempio e alla quale la Congregazione deve tendere con la medesima determinazione, richiede queste tre condizioni: la prima delle quali è considerarsi con assoluta sincerità degni del disprezzo degli uomini; la seconda è godere che gli altri conoscano i nostri difetti e, di conseguenza, ci disprezzino; la terza è che se il Signore opera per mezzo nostro o in noi qualcosa, per quanto è possibile cerchiamo di nasconderlo, considerando la nostra pochezza; se poi non è possibile, dobbiamo attribuirlo unicamente alla misericordia divina e ai meriti degli altri. Questo è il fondamento di tutta la perfezione evangelica e il cardine di tutta la vita spirituale. Se uno possiede un simile grado di umiltà, insieme a essa gli verranno tutti i beni; se invece ne è sprovvisto, gli verrà tolto anche ciò che vi è di buono in lui e sarà tormentato da continue angosce.
8. — Poiché Cristo ha detto: « Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno » (Lc 9, 23), e avendo aggiunto nel medesimo spirito san Paolo: « Se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece, con l’aiuto dello Spirito, voi fate morire le opere del corpo, vivrete » (Rm 8, 13), ciascuno si applicherà con diligenza a rinnegare costantemente la propria volontà e il proprio modo di giudicare e a mortificare tutti i sensi.
9. — Tutti ugualmente si guarderanno dall’amare eccessivamente i propri parenti, secondo il consiglio di Cristo, che esclude dal numero dei suoi discepoli chi non lo preferisce al padre, alla madre, ai fratelli e alle sorelle e promette il centuplo in questo mondo e la vita eterna a chi li lascia per il Vangelo. Di qui si deduce quale grave ostacolo opponga alla cristiana perfezione la carne e il sangue. I parenti tuttavia devono essere amati con affetto spirituale e secondo Cristo.
10. — Tutti si studieranno con singolare diligenza di mettersi in quella piena disponibilità che Cristo e i Santi hanno tanto praticato, così da non attaccarsi con affetto eccessivo né ai ministeri, né alle persone, né ai luoghi, soprattutto la patria, né ad altre cose del genere; anzi in modo da essere preparati e pronti a lasciare volentieri tutte queste cose a un comando o ad un cenno del Superiore, e ad accettare con animo sereno in tutti questi casi il rifiuto o il mutamento di programma disposto dal Superiore stesso, e a riconoscere, nel Signore, che egli ha fatto bene tutto.
11. — Per onorare la vita comune, che Cristo Signore volle condurre per conformarsi agli altri e così guadagnarli più facilmente al Padre, tutti, per quanto sarà possibile, osserveranno l’uniformità in ogni cosa, considerandola come tutrice del buon ordine e della santa unione; parimente eviteranno ogni singolarità come fonte di invidia e di divisione; e ciò non soltanto per quello che si riferisce al vitto, al vestito, al letto e altre cose del genere, ma anche per quanto riguarda il metodo di direzione, di insegnamento, di predicazione, di governo e le pratiche spirituali. Affinché poi questa uniformità possa conservarsi per sempre fra noi, dobbiamo servirci di un solo mezzo: l’esattissima osservanza delle nostre Regole o Costituzioni.
12. — Tra noi saranno sempre in vigore gli atti di carità verso il prossimo quali sono: 1° fare agli altri ciò che giustamente vorremmo fosse fatto a noi; 2° accondiscendere agli altri e approvare tutto nel Signore; 3° sopportarsi a vicenda senza mormorare; 4° piangere con chi piange; 5° rallegrarsi con chi è nella gioia; 6° prevenirsi reciprocamente nell’onore; 7° mostrarsi con gli altri cordialmente benevoli e servizievoli; 8° infine farci tutto a tutti per guadagnare tutti a Cristo. Si intende che tutti questi atti sono da farsi purché non vi sia nulla di contrario ai precetti di Dio o della Chiesa e alle Regole o Costituzioni della nostra Congregazione.
13. — Qualora la divina Provvidenza permetta che la Congregazione o una sua casa o uno dei suoi membri siano, senza alcun motivo, colpiti e messi alla prova da calunnia o persecuzione, ci asterremo con grande cura da ogni rivendicazione, maledizione e perfino da ogni rimostranza contro gli stessi persecutori e calunniatori; anzi ne loderemo e benediremo Dio, ringraziandolo con gioia come di un’occasione di gran bene proveniente dal Padre dei lumi. Oltre a ciò pregheremo di cuore per tutti costoro e, se ci si presenterà l’occasione favorevole, faremo loro del bene, tenendo presente ciò che Cristo comanda a noi, come a tutti gli altri fedeli, quando dice: « Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori » (Mt 5, 44). Per indurci poi ad osservare più facilmente e più volentieri questi precetti, egli afferma che proprio in questo consiste la nostra beatitudine e per questo dobbiamo godere ed esultare, poiché la nostra ricompensa sarà grande nei cieli. Ma ciò che maggiormente importa è che Egli stesso, per primo, si è degnato di tenere questo comportamento verso gli uomini per offrirci quel modello che in seguito hanno imitato gli apostoli, i discepoli e tanti cristiani.
14. — Sebbene siamo tenuti a praticare, per quanto è possibile, le massime evangeliche di cui abbiamo trattato, in quanto santissime e utilissime, tuttavia alcune di esse si addicono più specificamente a noi: quelle appunto che ci esortano in modo particolare alla semplicità, all’umiltà, alla mansuetudine, alla mortificazione, allo zelo delle anime. La Congregazione pertanto avrà somma cura di coltivarle, in modo che queste cinque virtù siano come le facoltà dell’anima di tutta la Congregazione e tutte le azioni di ciascuno di noi ne siano sempre animate.
15. — Poiché satana tenta senza posa di distoglierci dalla pratica di queste massime contrapponendo le sue del tutto contrarie, ciascuno perciò metterà in opera tutta la sua prudenza e la sua vigilanza per contrastare e vincere con determinazione e coraggio queste insinuazioni, soprattutto quelle che maggiormente si oppongono allo spirito del nostro Istituto, e cioè: 1° la prudenza della carne; 2° mettersi in mostra davanti agli uomini; 3° desiderare che gli altri si sottomettano sempre al nostro giudizio e alla nostra volontà; 4° la ricerca della soddisfazione naturale in tutte le cose; 5° l’insensibilità di fronte all’onore di Dio e alla salvezza del prossimo.
16. — Poiché lo spirito maligno frequentemente si camuffa in angelo della luce e a volte tenta di ingannarci con le sue illusioni, tutti se ne guarderanno con molta attenzione e cercheranno di imparare con quale mezzo si possano riconoscere ed eludere i suoi inganni. Ora l’esperienza insegna che il rimedio più immediato e più efficace in circostanze del genere è quello di confidarsi al più presto con le persone che hanno ricevuto questo incarico; perciò quando qualcuno si sente tormentato da pensieri sospetti di qualche illusione, o da grave angoscia o tentazione, si farà premura di rivelare tutto al Superiore o al Direttore o ad altra persona che ne abbia ricevuto l’incarico, perché vi apportino il rimedio conveniente che ciascuno accetterà come proveniente dalla mano del Signore, lo approverà e lo applicherà al suo caso con fiducia e rispetto. Soprattutto si guarderà bene dal rivelare la sua situazione ad alcuno dei nostri o degli esterni, giacché l’esperienza dimostra che confidenze di questo genere aggravano il male, ne contagiano gli altri, anzi, alla fine la Congregazione intera ne subisce un grave danno.
17. — Avendo Dio ordinato a ciascuno di aver cura del suo prossimo, anche noi abbiamo il dovere di prestarci aiuto reciprocamente come membra del medesimo corpo mistico. Pertanto, se qualcuno viene a conoscenza che un confratello è tormentato da grave tentazione o è caduto in colpa notevole, immediatamente in spirito di carità e con la maggior delicatezza possibile procurerà che il Superiore ponga rimedio a questi due mali nel tempo e nel modo più conveniente. Ciascuno, inoltre, per progredire maggiormente nella virtù, giudicherà ben fatto e gradirà che i suoi difetti vengano segnalati nel medesimo spirito di carità al Superiore da chiunque ne sia venuto a conoscenza al di fuori della confessione.
18. — Nostro Signore venne al mondo per ristabilire il Regno del Padre nelle anime, strappandole al demonio che gliele aveva sottratte seducendole astutamente con l’avidità disordinata delle ricchezze, degli onori e dei piaceri. Egli poi, salvatore misericordioso, ritenne di dover combattere contro il suo avversario con armi contrarie, che sono appunto la povertà, la castità e l’obbedienza, come fece fino alla morte. Ora, poiché la piccola Congregazione della Missione è stata suscitata nella Chiesa di Dio per dedicarsi alla salvezza delle anime, soprattutto dei poveri contadini, ha ritenuto di non potersi servire di armi più potenti e più appropriate di quelle stesse che usò con tanto successo e tanta efficacia la stessa Sapienza eterna. Per questa ragione tutti e ciascuno praticheranno fedelmente e per tutta la vita la povertà, la castità e l’obbedienza secondo lo spirito del nostro Istituto. Ma per essere in grado di perseverare fino alla morte con maggior sicurezza e facilità e anche con maggior merito nella pratica di queste virtù, ciascuno, con l’aiuto del Signore, si impegnerà ad eseguire con la massima fedeltà le norme che verranno stabilite su questo argomento nei capitoli seguenti.
Capitolo III
la povertà
1. — Cristo stesso, a cui appartengono tutti i beni, abbracciò la povertà a tal punto da non avere dove posare il capo, e costituì i collaboratori della sua missione, cioè gli apostoli e i discepoli, in simile grado di povertà da non possedere nulla di proprio, affinché liberi potessero meglio e più agevolmente vincere la cupidigia di ricchezze che manda in perdizione quasi tutto il mondo. Per questa ragione ciascuno, per quanto lo comporta la sua debolezza, si sforzerà di imitarlo nel coltivare questa virtù, fermamente convinto che essa costituirà un baluardo inespugnabile, mediante il quale, con la grazia di Dio, la Congregazione rimarrà stabile per sempre.
2. — Benché i nostri ministeri nelle missioni, alle quali dobbiamo attendere gratuitamente, non ci consentano di praticare la povertà nel senso più stretto, tuttavia con l’affetto e, per quanto è possibile, nella pratica ci applicheremo, con l’aiuto del Signore, nell’esercizio di questa virtù, soprattutto con l’adempiere quanto segue.
3. — Tutti i membri della Congregazione e ciascuno singolarmente si persuaderanno che, sull’esempio dei primi cristiani, ogni cosa sarà fra loro comune e tutto verrà ad essi distribuito dai Superiori, cioè: vitto, vestito, libri, suppellettili e altre cose, secondo le necessità di ciascuno. Affinché poi non si verifichino abusi riguardo alla povertà, che abbiamo abbracciato, nessuno potrà disporre dei beni della Congregazione o distribuirne alcunché, senza l’autorizzazione del Superiore.
4. — Inoltre nessuno terrà alcuna cosa all’insaputa o senza il consenso del Superiore, oppure senza essere pronto a lasciarla a un suo comando o anche semplicemente a un suo cenno.
5. — Nessuno si servirà di cosa alcuna come propria. Nessuno darà o riceverà in dono cosa alcuna, né darà in prestito o in uso gratuito, né la richiederà in altra forma, senza l’autorizzazione del Superiore.
6. — Nessuno si approprierà di alcuna di quelle cose che sono destinate all’uso di altri, oppure messe a disposizione di tutti, o lasciate in deposito, nemmeno se si trattasse di libri; parimenti non cederà ad altri ciò che gli è stato dato per suo uso, senza il consenso del Superiore, né permetterà che quanto gli è stato affidato vada perduto o si deteriori per sua negligenza.
7. — Nessuno cercherà cose superflue o ricercate. Quanto poi alle cose necessarie e al loro stesso desiderio, ciascuno si regolerà in modo che il vitto, la camera e il letto siano quali si addicono a un povero; inoltre, in queste, come in tutte le cose, sia disposto a sperimentare qualche effetto della povertà; anzi sia contento che gli vengano assegnate le cose peggiori della casa.
8. — Affinché poi presso di noi non vi sia alcuna cosa che dia anche la minima impressione di proprietà, le nostre camere non saranno chiuse in modo tale che non si possano aprire dall’esterno, né in esse vi sarà alcun mobile o altro chiuso con chiave particolare, senza l’autorizzazione esplicita del Superiore.
9. — Inoltre nessuno, passando da una casa all’altra, porterà con sé alcuna cosa senza il permesso del Superiore.
10. — Infine, poiché la virtù della povertà può essere violata anche dal solo desiderio sregolato dei beni temporali, ciascuno si guarderà bene che questo male non si impadronisca del suo cuore, nemmeno facendogli ambire benefici ecclesiastici sotto le apparenze di un bene spirituale. Perciò nessuno aspirerà ad alcun beneficio o dignità ecclesiastica sotto qualunque pretesto.
Capitolo IV
la castità
1. — Il nostro Salvatore dimostrò chiaramente quanto apprezzasse la castità e come bramasse infonderne il desiderio nel cuore dell’uomo, con il fatto stesso che volle nascere per opera dello Spirito Santo e al di fuori delle leggi della natura da una Vergine intatta, e anche con il fatto che ebbe tanto in orrore il vizio opposto, da non permettere mai, come si legge, non dico di essere tacciato, ma nemmeno sospettato di impudicizia, Egli che pure accettò di essere accusato falsamente dei più atroci delitti dai suoi acerrimi nemici per il desiderio di essere ricoperto di obbrobri. Per questa ragione è di somma importanza che la Congregazione sia animata da un ardente desiderio di possedere questa virtù e che si impegni a coltivarla con somma cura, sempre e dovunque. Questo proposito tanto più ci deve stare a cuore quanto più strettamente i compiti della Missione ci impongono di avere rapporti quasi continui con secolari di ambo i sessi. Ciascuno quindi impiegherà tutta la cura, la diligenza e la cautela possibili per conservare intatta la castità dell’anima e del corpo.
2. — Per ottenere, con l’aiuto di Dio, questo scopo, ciascuno custodirà con molta attenzione i sensi interni ed esterni; non si intratterrà mai, da solo, con donne in luoghi e tempi indebiti; parlando o anche scrivendo ad esse si asterrà completamente da espressioni, anche pie, che sappiano di tenerezza nei loro confronti; nell’ascoltare le loro confessioni, come anche nell’intrattenersi con esse in altre circostanze, non si avvicinerà troppo e non presumerà della propria castità.
3. — Poiché l’intemperanza è come la madre e la nutrice dell’impurità, ciascuno sarà sobrio nel mangiare e, per quanto possibile, farà uso di cibi comuni e di vino molto annacquato.
4. — Inoltre tutti si persuaderanno che non è sufficiente ai missionari aver raggiunto un livello notevole nella pratica della castità, ma si richiede in più che facciano il possibile perché nessuna persona possa essere sfiorata dal benché minimo sospetto di impurità a carico di nessuno di noi: infatti anche un semplice sospetto in questa materia, per quanto totalmente infondato, screditerebbe la Congregazione e i suoi stessi sacri ministeri, più di qualunque altro delitto a noi falsamente imputato, con la conseguenza soprattutto che dalle nostre missioni raccoglieremmo poco o nessun frutto.
Perciò, per impedire questo danno, o per eliminarli, impiegheremo tutti i mezzi, non solo ordinari ma, se occorre, anche straordinari, come appunto questo: rinunciare talvolta a certe attività, in se stesse lecite e anche buone e sante, quando – a giudizio del Superiore o del Direttore – possono far nascere il timore di ingenerare tali sospetti.
5. — E poiché la vita oziosa è nemica delle virtù, soprattutto della castità, ciascuno fuggirà questo vizio in modo da essere sempre utilmente occupato.
Capitolo V
l’obbedienza
1. — Per onorare l’obbedienza che nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato con le parole e l’esempio, quando accettò di rimanere sottomesso alla SS. Vergine, a san Giuseppe, nonché ad altre persone rivestite di autorità, sia gentili che difficili, anche noi obbediremo esattamente a tutti coloro che esercitano un’autorità su noi, vedendo essi nel Signore e il Signore in loro. Prima di tutto dimostreremo venerazione e obbedienza fedele e sincera al Sommo Pontefice; obbediremo anche con umiltà e sempre, secondo l’indole specifica del nostro istituto, agli eccellentissimi e reverendissimi vescovi nelle cui diocesi è eretta la nostra Congregazione. Inoltre non intraprenderemo alcun ministero nelle chiese parrocchiali senza il consenso del parroco.
2. — Tutti parimenti senza eccezione obbediremo al Superiore generale con prontezza, gioia e perseveranza in tutte le cose che non siano chiaramente peccato, sottomettendo il nostro giudizio e la nostra volontà con una obbedienza, per così dire, cieca; e ciò non solo a proposito della sua volontà espressa, ma anche della sua intenzione, convinti che i suoi ordini sono sempre per il meglio, e affidandoci alle sue disposizioni come una lima nelle mani del fabbro.
3. — Una tale obbedienza dovrà essere resa ugualmente agli altri superiori, sia locali che provinciali, e anche ai responsabili subordinati. Ciascuno poi si proporrà di obbedire anche al suono della campana come alla voce di Cristo, cosicché al primo tocco si farà premura di lasciare incompiuta persino una lettera (dell’alfabeto).
4. — Affinché la Congregazione progredisca nella pratica di questa virtù più facilmente e più speditamente, ci faremo un dovere di mantenere sempre in vigore quella lodevole consuetudine che consiste nel non chiedere e non rifiutare nulla. Tuttavia, quando qualcuno fosse certo che una determinata cosa gli è o dannosa o necessaria, esaminerà il suo caso davanti al Signore per vedere se dovrà proporlo o no al Superiore e rimarrà indifferente circa la decisione che verrà presa. Con questa disposizione d’animo esporrà il suo caso al Superiore, pienamente convinto che la volontà di Dio gli viene indicata da quella del Superiore; conosciutala ne rimarrà subito soddisfatto.
5. — Tutti, nei giorni e nelle ore fissate di ogni settimana, si raduneranno nel luogo stabilito per ascoltare quanto il Superiore avrà da dire circa l’ordine della casa, e per esporgli eventuali proposte.
6. — Nessuno darà ordini di qualsiasi genere, né rimproveri, a meno che non sia stato incaricato dal Superiore o vi sia tenuto in ragione del suo ufficio.
7. — Nessuno, dopo aver ricevuto un rifiuto da un superiore, presenterà ad un altro superiore la medesima richiesta, senza averlo prima informato del rifiuto e della ragione che l’ha causato.
8. — Nessuno tralascerà un incarico che gli è stato affidato, anche se costrettovi da un nuovo impegno sopraggiunto, senza avvertirne tempestivamente qualcuno dei superiori in modo che, se è il caso, possa sostituirlo con un altro.
9. — Nessuno deve ingerirsi nell’ufficio o nel ministero di un altro, ma se gli viene richiesto da qualcuno un aiuto temporaneo, soprattutto da coloro che hanno responsabilità anche minori, glielo offrirà volentieri, a meno che non sia impossibilitato a farlo. Se però l’impegno dovesse protrarsi a lungo si renderà necessario il permesso del Superiore.
10. — Nessuno entrerà nel luogo destinato all’ufficio di un altro senza l’autorizzazione del Superiore; tuttavia in caso di necessità basterà il permesso del responsabile di quel luogo.
11. — Per ovviare a molti gravi inconvenienti che si potrebbero verificare, nessuno scriverà, spedirà o aprirà lettere senza l’autorizzazione del Superiore, al quale ciascuno consegnerà le lettere che scrive, affinché il Superiore stesso le spedisca o le trattenga, a suo giudizio.
12. — Affinché poi l’obbedienza giovi in qualche misura anche alla salute fisica, nessuno, senza il permesso del Superiore, prenderà cibo o bevande fuori dei tempi abituali.
13. — Nessuno, senza un permesso generale o speciale del Superiore, entrerà nella camera di un altro e non aprirà la porta se prima non gli verrà risposto: « avanti » e la porta rimarrà aperta per tutto il tempo che staranno insieme.
14. — Nessuno introdurrà gli altri, soprattutto se esterni, nella sua camera, senza averne ottenuto il permesso del Superiore.
15. — Nessuno comporrà o tradurrà o pubblicherà i libri, senza l’esplicita approvazione e autorizzazione del Superiore generale.
16. — Nessuno dei nostri fratelli coadiutori, destinati all’ufficio di Marta, aspirerà allo studio della lingua latina e tanto meno allo stato ecclesiastico. Se qualcuno sentisse sorgere in sé tale desiderio, cercherà immediatamente di reprimerlo, come proveniente dallo spirito maligno, il quale tenta di portarlo alla perdizione con sottile orgoglio, mascherato da zelo delle anime. I nostri fratelli coadiutori non impareranno a leggere e a scrivere senza l’autorizzazione esplicita del Superiore generale.
Capitolo VI
Gli infermi
1. — Tra le opere che Cristo compiva e che più frequentemente raccomandava a quanti inviava nella sua vigna, una delle principali fu questa: prendersi cura dei malati, soprattutto se poveri, e andarli a visitare. Per questo motivo la Congregazione avrà particolarmente a cuore, con il consenso dei superiori, di visitare e confortare i malati non solo di casa, ma anche esterni, offrendo ad essi quell’assistenza materiale e spirituale che si potrà opportunamente prestare, soprattutto durante le Missioni. Inoltre si preoccuperà di fondare e visitare le Compagnie della Carità.
2. — Ovunque andranno a visitare un malato, sia in casa che fuori, lo considereranno non come un uomo, ma come Cristo stesso, il quale dichiara che quel gesto di pietà è rivolto a sé. Per questo motivo ciascuno si comporterà con il malato con discrezione, gli parlerà sottovoce e di cose che possano sollevarlo e consolarlo, e siano di edificazione alle persone presenti.
3. — Anche i nostri malati dovranno essere convinti che non si trovano in infermeria e costretti a letto solo per essere curati e guariti con le medicine, ma anche perché, almeno con il loro esempio, insegnino, come da un pulpito, le virtù cristiane, soprattutto la pazienza e la conformità alla volontà di Dio. In questo modo saranno il profumo di Cristo per tutti coloro che li visitano e li assistono; anzi la loro virtù si perfezionerà nella malattia. Dato poi che tra le virtù richieste ai malati anche l’obbedienza è indispensabile, dovranno obbedire scrupolosamente ai medici non soltanto dell’anima, ma anche del corpo, come pure all’infermiere e alle altre persone addette alla loro assistenza.
4. — Per evitare poi che si infiltri qualche abuso a riguardo dei malati, coloro che avvertiranno qualche disturbo ne informeranno il Superiore o il prefetto degli infermi o l’infermiere. Nessuno però prenderà alcuna medicina o si servirà del nostro medico o ne consulterà un altro, senza l’approvazione del Superiore.
Capitolo VII
La modestia
1. — In Cristo Signore risplendeva tale modestia nel volto, nel gesto e nelle parole che, per goderne la vista e ascoltare le parole di vita eterna che sgorgavano dalle sue labbra, intere moltitudini erano attratte nel cuore del deserto, dimenticandosi perfino di toccare cibo e bevanda. Ora i missionari sono tenuti a prendere a modello un sì grande Maestro nell’esercizio di questa amabile virtù, tanto più che essi, destinati per vocazione ad avere frequenti rapporti con il prossimo, devono stare sempre con l’apprensione di poter distruggere con il cattivo esempio anche di una leggera immodestia ciò che, nel Signore, hanno costruito con le loro funzioni e ministeri. Perciò tutti si atterranno scrupolosamente a ciò che san Paolo raccomandava ai primi cristiani: « La vostra modestia sia nota a tutti gli uomini » (Fil 4, 5). Ma per giungere a questo grado di virtù procureranno di praticare assiduamente le norme particolari circa la modestia prescritte nella Congregazione e quelle che seguono.
2. — Prima di tutto si guarderanno dal concedere troppa libertà agli occhi, specialmente in chiesa, a tavola e in pubblico e faranno in modo che nulla di frivolo o di puerile si noti nel gesto e nulla di ricercato e mondano si ravvisi nella maniera di camminare.
3. — Eviteranno tutti di toccarsi, sia pure per scherzo, a meno che non sia opportuno abbracciarsi in segno di carità o di saluto, come quando uno parte per un lungo viaggio o ne ritorna, oppure è stato da poco ammesso in comunità.
4. — Ciascuno avrà cura di conservare una decorosa pulizia, specialmente negli abiti, ma si asterrà da ogni ricercatezza o frivolezza.
5. — Ciascuno terrà ben pulita e ordinata la povera e poca suppellettile della sua camera, che spazzerà ogni due giorni; e ogni mattina, dopo essersi alzato, ricomporrà bene il letto, a meno che, per malattia o per altro impegno, il Superiore non abbia incaricato un altro.
6. — Nessuno uscirà di camera se non decentemente vestito.
7. — Per poter praticare con maggior facilità e prontezza la modestia in presenza di altri, ciascuno cercherà di comportarsi con riservatezza, anche da solo in camera sua, sentendosi sotto lo sguardo di Dio; in particolare si guarderà dal dormire di notte senza alcun indumento o non sufficientemente coperto.
Capitolo VIII
I rapporti tra noi
1. — Cristo Salvatore nostro, avendo riunito insieme gli apostoli e i discepoli, lasciò ad essi alcune norme per il retto comportamento tra loro e cioè: amarsi scambievolmente; lavarsi vicendevolmente i piedi; riconciliarsi immediatamente con un fratello se fosse sorto un contrasto con lui; mettersi in cammino a due a due; infine, se qualcuno volesse essere il più grande tra loro, farsi come il più piccolo, e altre simili. Perciò la nostra piccola Congregazione, desiderando camminare sulle orme di Cristo e dei suoi discepoli, dovette darsi queste regole che riguardano il modo di ben vivere insieme e di trattarsi reciprocamente: regole che ciascuno cercherà di osservare quanto più fedelmente gli è possibile.
2. — Affinché la carità fraterna e la santa unione fioriscano sempre fra noi e si conservino intatte, tutti si comporteranno tra loro con molto rispetto, vivendo però sempre insieme come cari amici. Eviteranno con cura le amicizie particolari come pure le avversioni, avendo l’esperienza dimostrato che questi due vizi generano divisioni e mandano in rovina le Congregazioni.
3. — Tutti, come è doveroso, si comporteranno con grande rispetto verso i superiori e davanti a loro si scopriranno il capo; si guarderanno bene dall’interromperli mentre essi parlano loro e, ciò che è peggio, dal resistere ad essi. Tutti parimenti si scopriranno il capo davanti ai sacerdoti; i seminaristi e gli studenti davanti ai loro direttori e professori. Anche i sacerdoti cercheranno di precedersi a vicenda nel Signore nel manifestarsi questi segni di rispetto. Tuttavia, per non dare occasione al divagare degli occhi o della mente, nessuno a tavola si scoprirà il capo se non davanti al Superiore o a qualche persona ragguardevole.
4. — Attesta la Scrittura che vi è un tempo per parlare e un tempo per tacere e che il molto parlare non sarà esente da peccato; d’altra parte una lunga esperienza dimostra come difficilmente possa verificarsi che una qualunque comunità dedicata a Dio perseveri a lungo nel bene se in essa non si stabilisce un limite nel parlare e una regola del silenzio. In ragione di tutto ciò, da noi si osserverà il silenzio fuori del tempo di ricreazione, cosicché fuori di esso nessuno parli senza necessità, di passaggio, con pochissime parole e sottovoce, specialmente in chiesa, in sagrestia, in dormitorio e in refettorio, soprattutto quando si sta a tavola. Se tuttavia a qualcuno dei commensali manca qualcosa, colui che gli siede vicino ne avvertirà l’inserviente con una parola, se non è possibile con un cenno o altro gesto. In qualunque tempo capiti di parlare, anche nelle ore destinate alla conversazione, ci guarderemo sempre dall’alzare troppo la voce o dal gridare, poiché sia i nostri che gli esterni potrebbero riceverne una cattiva impressione.
5. — Nessuno dei nostri, senza l’autorizzazione del Superiore, potrà conversare con i seminaristi, gli studenti o altri, anche sacerdoti, che non abbiano compiuto il biennio dal termine del seminario, salvo che per salutarli di passaggio e con una parola, quando la carità lo esige.
6. — Per una più perfetta osservanza del silenzio, ciascuno starà attento ad evitare qualsiasi rumore, quando si trova in camera, o cammina per la casa, soprattutto di notte, e anche quando apre o chiude le porte.
7. — Nelle conversazioni e ricreazioni quotidiane si dovrà contemperare la compostezza con la giovialità, in modo da mescolare, per quanto è possibile, l’utile al dilettevole e far risplendere davanti a tutti il nostro esempio. Per raggiungere più facilmente questo scopo le nostre conversazioni riguarderanno generalmente quegli argomenti che giovano alla pietà e alla scienza necessaria ai missionari.
8. — In queste conversazioni, come in altre che si possono a volte lecitamente tenere ci studieremo di introdurre, tra gli altri argomenti di conversazione, quelli che in modo particolare favoriscono l’amore alla nostra vocazione e il desiderio della propria perfezione, stimolandoci reciprocamente a questo, e lo faremo ora esortando ad una virtù, per esempio la pietà, la mortificazione, l’obbedienza, l’umiltà, ora difendendole dagli attacchi dei denigratori con umiltà e dolcezza. Se poi la nostra sensibilità prova ripugnanza verso qualcuna di queste virtù, ne riferiremo soltanto al Superiore o al Direttore, ma ci guarderemo bene dal manifestarlo ad altri sia in pubblico che in privato.
9. — Nella conversazione fuggiremo con grande attenzione ogni sorta di ostinazione e di alterco, anche sotto forma di scherzo; anzi, quando si tratta di cose lecite, ci sforzeremo quanto più è possibile di preferire, nel Signore, l’opinione altrui alla nostra. Se poi riguardo ad un determinato argomento le opinioni fossero discordi, ciascuno sarà libero di esporre le sue ragioni, umilmente e con calma. Prima di tutto poi, conversando tra loro, tutti eviteranno di dar segni di molestia, insofferenza, risentimento contro qualcuno e di offendere gli altri con parole o con azioni o in qualunque altro modo.
10. — Tutti si atterranno ad uno scrupoloso riserbo nel custodire il segreto, non soltanto in materia di confessione o direzione spirituale, ma anche riguardo a ciò che si fa o si dice nel capitolo in relazione alle colpe e alle penitenze, come pure riguardo ad altre cose la cui rivelazione ci risulta proibita dai superiori o per sua natura.
11. — Nessuno lederà, sia pure leggermente, la riputazione degli altri, soprattutto dei superiori, né mormorerà contro di essi, né criticherà quanto si fa o si dice nella nostra Congregazione o in altre comunità.
12. — Nessuno sarà curioso di sapere quanto riguarda l’amministrazione della casa o ne farà oggetto di conversazione con altri; parimenti nessuno parlerà, direttamente o indirettamente, contro le Regole o Costituzioni della Congregazione e nemmeno contro le sue buone usanze.
13. — Nessuno si lamenterà del cibo, del vestito e del letto; anzi si asterrà perfino dal parlarne, a meno che non lo debba fare in ragione del suo ufficio.
14. — Nessuno parlerà con disprezzo delle altre nazioni o regioni, poiché ne possono scaturire gravi mali.
15. — Nelle pubbliche contese e nelle guerre, che possono sorgere tra principi cristiani, nessuno parteggerà apertamente per l’uno o l’altro dei contendenti, a somiglianza di Cristo che rifiutò di farsi arbitro nella lite tra fratelli e si astenne dall’esprimere un giudizio sul diritto dei principi, limitandosi ad affermare che bisogna rendere a Cesare ciò che è di Cesare, ecc.
16. — Ciascuno eviterà rigorosamente di intrattenersi in discussioni concernenti la politica degli stati e altri affari secolari, specialmente riguardo a guerre, contese di principi del tempo presente e altre simili agitazioni mondane; inoltre, per quanto è possibile, si asterrà dal trattarne per iscritto.
Capitolo IX
I rapporti con gli esterni
1. — Oltre alle regole che il Salvatore trasmise agli apostoli e ai discepoli sul modo di comportarsi tra loro, volle aggiungere altre norme sulla maniera di trattare correttamente con il prossimo, con gli scribi e i farisei, con i capi quando fossero convocati nelle loro sinagoghe e tribunali, e come regolarsi quando fossero invitati ad un banchetto, e altri suggerimenti di questo genere. Perciò, sul suo esempio, è parso opportuno che noi avessimo alcune norme sul modo di comportarci con gli esterni e cercassimo di osservarle fedelmente.
2. — Per quanto, in forza della nostra vocazione, siamo obbligati ad avere rapporti frequenti con i secolari, soprattutto nelle missioni, tuttavia non li frequenteremo se non quando vi siamo tenuti per obbedienza o necessità. In questi casi terremo presenti le parole del Signore: « Voi siete la luce del mondo » (Mt 5, 14); cioè agiremo a somiglianza della luce del sole che illumina e riscalda e, sebbene passi attraverso cose immonde, rimane tuttavia intatta nel suo splendore.
3. — Tutti si asterranno scrupolosamente dall’intromettersi in cause giudiziarie di esterni, dall’assumere legati testamentari, dal trattare affari commerciali e matrimoniali, e da simili occupazioni mondane, secondo il consiglio dell’Apostolo: « Nessuno quando presta servizio a Dio si immischia nelle faccende del mondo » (2 Tim 2, 4).
4. — Senza l’autorizzazione del Superiore, nessuno si prenderà cura di affari anche se pii, prometterà l’opera sua per trattarli o vi si mostrerà incline.
5. — In casa nessuno, senza il consenso del Superiore, si intratterrà con persone esterne, né inviterà altri dei nostri a farlo.
6. — Nessuno, senza esserne autorizzato dal Superiore, inviterà a mensa alcun esterno.
7. — Nessuno, senza il permesso del Superiore, affiderà incarichi o lettere o altre commissioni di persone esterne ad alcuno dei nostri confratelli, né dei nostri confratelli a persone esterne.
8. — Nessuno passerà a persone esterne le nostre Regole o Costituzioni senza esserne autorizzato espressamente dal Superiore generale o dal Visitatore; solo a coloro che devono essere ammessi in Comunità potranno essere date in visione queste Regole Comuni con il permesso del Superiore locale, e ciò avverrà in occasione degli esercizi spirituali e talvolta anche prima se il Superiore lo riterrà opportuno nel Signore.
9. — Nessuno riferirà imprudentemente o inutilmente a persone esterne ciò che è stato fatto e che si dovrà fare in comunità, né con esse ragionerà di cose di cui non è consentito conversare neppure fra noi, soprattutto quando si tratta di argomenti di natura politica.
10. — Chi ha il permesso di frequentare persone esterne, parlerà ad esse solo di cose necessarie o utili al loro bene spirituale e all’edificazione reciproca, e lo farà con quella dignità, compostezza e modestia che la qualità delle persone e le situazioni di luogo e di tempo richiedono.
11. — Nessuno uscirà di casa se non come, quando e con chi avrà stabilito il Superiore, al quale spetta assegnare il compagno, a meno che non ne abbia affidato l’incarico ad altri. Il compagno poi darà all’altro la precedenza anche nel parlare.
12. — Quando qualcuno chiederà al Superiore il permesso di uscire, gli specificherà anche il luogo dove intende recarsi e il motivo. Appena rientrato, gli renderà conto di ciò che ha fatto.
13. — Nessuno entrerà o uscirà di casa se non dalla porta consueta, salvo casi di necessità o autorizzazioni da parte del Superiore.
14. — Coloro che escono di casa, anche avendo il permesso di passare dalla porta secondaria o dalla chiesa, apporranno un segno al loro nome e avvertiranno il portinaio dell’ora del loro ritorno affinché questi possa riferirne esattamente a coloro che ne facessero richiesta. Non usciranno di casa prima che sia giorno e vi faranno ritorno prima che sia notte. Rientrati, si faranno premura di togliere il segno apposto al loro nome.
15. — Nessuno prenderà cibo fuori di casa senza il permesso del Superiore, a meno che non sia in viaggio.
16. — Chi durante un viaggio si trovi a passare in una località dove esiste una casa della Congregazione, prenderà alloggio in quella e non in altra sede e finché rimarrà là dipenderà in tutto da colui che presiede la casa e non farà nulla senza prendere consiglio e direttive da lui. Nello stesso modo si comporterà chi vi si fosse recato per trattare affari.
Capitolo X
le pratiche spirituali nella Congregazione
1. — Cristo Signore e i suoi discepoli avevano le loro pratiche di pietà come queste: salire al tempio in giorni stabiliti, ritirarsi di tanto in tanto in luoghi solitari, dedicarsi all’orazione e altre simili. è opportuno quindi che anche la nostra piccola Congregazione abbia le sue pratiche spirituali, da compiere con scrupolosa esattezza, tanto da anteporle a qualsiasi altra attività, quando non lo impediscano casi di necessità o ragioni di obbedienza. Esse infatti favoriscono l’osservanza fedele delle altre Regole o Costituzioni e giovano con più efficacia alla perfezione personale.
2. — Come prescrive la Bolla di erezione della nostra Congregazione, nutriremo una specialissima devozione per i misteri ineffabili della SS. Trinità e dell’Incarnazione e la coltiveremo con ogni premura nella maniera più perfetta possibile, soprattutto compiendo queste tre cose: 1° stimolando il nostro cuore ad emettere atti di fede e di pietà verso questi misteri; 2° offrendo ogni giorno in loro onore alcune preghiere e pie opere, e specialmente celebrando le loro feste con la massima solennità e devozione; 3° prodigandosi a diffondere in mezzo al popolo la conoscenza, il culto e la venerazione di questi misteri con le nostre istruzioni e il nostro buon esempio.
3. — Per onorare nella forma più completa questi misteri, non vi è mezzo più eccellente che quello di prestare il debito culto e di fare buon uso della SS. Eucaristia nella sua realtà di sacramento e di sacrificio, in quanto essa racchiude in sé quasi un compendio degli altri misteri della fede e per sua natura santifica e alla fine glorifica le anime di coloro che la ricevono e la celebrano degnamente, rendendo così la massima gloria alla SS. Trinità e al Verbo Incarnato. Per questa ragione nulla ci starà più a cuore che rendere il dovuto onore a questo sacramento e sacrificio. Anzi metteremo in opera tutte le risorse della nostra mente per infondere in tutti sentimenti di onore e di rispetto verso l’Eucaristia, impedendo soprattutto, per quanto è possibile, che si dica o si faccia alcunché di irriverente contro questo sacramento e insegnando incessantemente agli altri ciò che bisogna credere circa un così grande mistero e con quale animo si debba venerare.
4. — Poiché inoltre la medesima Bolla ci raccomanda espressamente di venerare anche con culto speciale la Beata Vergine Maria, e d’altronde vi siamo tenuti per vari titoli, tutti e ciascuno, con l’aiuto di Dio, cercheremo di renderlo alla perfezione. Pertanto: 1° onoreremo ogni giorno con singolare devozione questa degnissima Madre di Cristo e nostra; 2° imiteremo, per quanto ci è possibile, le sue virtù, soprattutto l’umiltà e la castità; 3° tutte le volte che ci si presenterà l’occasione e la possibilità, esorteremo ardentemente gli altri affinché offrano alla Vergine, in ogni momento, tutto l’onore e l’omaggio che merita.
5. — Metteremo grande impegno nel recitare nel dovuto modo l’ufficio divino, nel rito romano e in forma comunitaria, anche nelle missioni, ma con tono moderato e senza canto, per avere più tempo disponibile da dedicare al prossimo, eccettuate quelle case nelle quali fossimo tenuti al canto gregoriano per ragione di fondazione, di ordinandi, di seminari esterni o di altra simile necessità. Tuttavia in qualunque luogo e tempo reciteremo le ore canoniche, si ricorderemo di quale rispetto, attenzione e devozione dobbiamo essere pervasi, ben consapevoli di celebrare in quel momento le lodi di Dio, quindi di esercitare l’ufficio degli angeli.
6. — Poiché tra i principali ministeri a cui attendiamo nelle missioni vi è quello di esortare i fedeli ad accostarsi con frequenza e buona disposizione ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, è opportuno che anche noi, a più forte ragione, li precediamo in questo con l’esempio, anzi li superiamo di molto. Questo dunque cercheremo di adempiere alla perfezione. Ma perché tutto proceda con ordine, i sacerdoti si confesseranno due volte o almeno una alla settimana a uno dei confessori di casa incaricati di questo ministero e non ad altri, senza il permesso del Superiore; tutti i giorni poi celebreranno la Messa, a meno che non ne siano impediti per qualche ragione. Gli altri che non sono sacerdoti si confesseranno ogni sabato e nelle vigilie delle feste principali a uno dei predetti confessori, a meno che il Superiore non ne abbia designato un altro, e riceveranno l’Eucaristia tutte le domeniche e nelle feste dette sopra secondo il consiglio del Direttore; tutti i giorni poi ascolteranno la Messa.
7. — Poiché non possiamo seguire in tutto l’esempio di Cristo il quale, oltre a raccogliersi in meditazione durante il giorno, passava le notti pregando Dio, lo imiteremo tuttavia nei limiti delle nostre forze. Perciò tutti, senza eccezione, ogni giorno attenderemo con impegno per un’ora all’orazione mentale e, secondo l’uso della Congregazione, in comune e nel luogo assegnato.
8. — Ciascuno si dia pensiero di non lasciar passare un solo giorno senza aver letto alcune pagine di un libro spirituale, appropriato al bisogno della sua anima, per tutto il tempo assegnato dal Superiore o dal Direttore. Oltre a ciò i sacerdoti e tutti i chierici leggeranno un capitolo del Nuovo Testamento, che terranno in grande venerazione in quanto esso costituisce la regola della perfezione cristiana. Affinché poi l’anima ne ritragga un maggiore vantaggio, questa lettura si farà in ginocchio, a capo scoperto, e aggiungendo, almeno alla fine, i tre atti seguenti: 1° adorare le verità racchiuse in quel capitolo; 2° spronarsi a rivestirsi di quello spirito che emana dalle verità che Cristo e i santi hanno professato; 3° proporsi di praticare i consigli o i precetti ivi contenuti e di seguirne gli esempi.
9. — Per avere una più chiara consapevolezza delle nostre mancanze e così ottenere, con l’aiuto di Dio, il perdono e una maggiore purezza dell’anima, tutti, senza eccezione, faranno ogni giorno due esami di coscienza: l’uno particolare e breve prima del pranzo e della cena, nel quale ci si propone l’acquisto di una determinata virtù o l’eliminazione di un determinato difetto; l’altro generale, che prende in considerazione tutte le azioni della giornata, si farà poco prima di coricarsi.
10. — Per onorare la solitudine di Cristo, specialmente i quaranta giorni da Lui passati nel deserto, tutti indistintamente, sia ecclesiastici che laici, entrando in Congregazione faranno gli esercizi spirituali e la confessione generale di tutta la vita precedente ad un sacerdote designato dal Superiore. Entrati (in comunità) faranno gli stessi esercizi, i seminaristi ogni sei mesi, gli altri una volta all’anno, inserendovi la confessione di tutto il periodo trascorso dall’ultima confessione generale.
11. — Poiché a stento si può progredire nella virtù senza l’aiuto di un direttore spirituale, ne consegue che difficilmente colui che accetta una direzione può giungere alla perfezione che gli si addice se di tanto in tanto non apre l’animo al suo direttore per rivelargli la sua situazione di spirito. Per questa ragione tutti indistintamente renderanno conto dello stato della loro coscienza, con sincerità e devozione, secondo il metodo in uso nella Congregazione, al Superiore o ad alcun altro da lui designato; ciò avverrà almeno ogni due mesi e in modo particolare durante gli esercizi spirituali e ogni volta che il Superiore lo riterrà utile.
12. — Tutti parteciperanno con attenzione e raccoglimento alle conferenze che si terranno almeno una volta alla settimana su argomenti spirituali. Tali argomenti riguarderanno il rinnegamento della propria volontà e del proprio giudizio, la disposizione a fare in tutto la volontà di Dio, la comunione fraterna, la sollecitudine per la propria perfezione, il programma nelle altre virtù, in particolar modo quelle che costituiscono lo spirito della Missione.
13. — Per imitare in qualche misura, e per quanto lo consente la nostra debolezza, Cristo che umiliò se stesso e fu annoverato tra i malfattori, ogni venerdì ciascuno dichiarerà la sua colpa in presenza di tutti al Superiore o a chi ne tiene le veci, e ciò sia in casa che durante le missioni, e accetterà serenamente le ammonizioni e le penitenze che gli verranno assegnate. Dovrà pure conservarsi quella pia consuetudine che consiste nell’essere pubblicamente avvertiti dei difetti nel capitolo; ciascuno poi avrà cura di dare gli avvertimenti richiesti in spirito di umiltà e di carità.
14. — Inoltre, affinché si radichi in noi più rapidamente l’amore alla propria abiezione e in questo modo possiamo avanzare sempre più nel cammino della perfezione, ci sforzeremo di accettare con animo sereno, per amore del Signore, ogni occasione possibile di venire umiliati anche al di fuori del capitolo e in qualunque circostanza. Perciò quando alla fine dell’orazione mentale o di una conferenza spirituale, o di altro atto pubblico, il Superiore chiamerà qualcuno per ammonirlo di qualche difetto, questi si metterà subito in ginocchio e, in spirito di umiltà, in silenzio e volentieri, ascolterà l’ammonizione, accetterà la penitenza imposta e la eseguirà fedelmente.
15. — Sebbene le continue fatiche dei missionari non permettano loro di sottoporsi per regola a mortificazioni e austerità corporali, ciascuno tuttavia le terrà in grande considerazione e ne alimenterà nel cuore il desiderio; anzi, permettendolo la salute e gli impegni, ne farà uso, sull’esempio di Cristo e dei primi cristiani e anche di molti secolari ripieni di spirito di penitenza. Nessuno però, all’insaputa del Superiore o del Direttore, se ne permetterà alcuna, eccetto quelle imposte in confessione.
16. — Per onorare in qualche modo la Passione di Cristo, ciascuno la sera di ogni venerdì si accontenterà di consumare a cena una sola portata e per giunta composta di erbe e legumi, a meno che non si trovi in missione o in viaggio.
17. — Il lunedì e martedì dopo la domenica di Quinquagesima, in casa ci asterremo dalle carni per rendere onore a Dio, con questa piccola mortificazione, nel medesimo tempo nel quale la maggior parte dei cristiani lo offendono in dissolutezze e gozzoviglie.
18. — Tutti si atterranno scrupolosamente all’orario giornaliero in uso nella Congregazione, sia in casa che in missione, soprattutto per quanto concerne l’ora di alzarsi e di coricarsi, di fare orazione, di recitare il divino ufficio e di prendere i pasti.
19. — Affinché assieme al corpo possa essere nutrita anche la mente, sia in tutte le nostre case che in missione si farà a tavola la lettura spirituale per tutta la durata della refezione.
20. — Si osserveranno anche altre lodevoli consuetudini della Congregazione, come queste: trattenersi un momento in chiesa per adorare il SS. Sacramento subito prima di uscire di casa e al rientro; quando si presenti l’occasione, istruire nella dottrina cristiana i poveri, specialmente i mendicanti, soprattutto durante i lunghi viaggi; entrando nelle nostre camere e uscendone, fare una genuflessione per impetrare l’aiuto di Dio prima di mettersi al lavoro e ringraziarlo poi per il lavoro compiuto.
21. — Se a queste pratiche spirituali prescritte dalle Regole qualcuno volesse aggiungerne delle altre, ne parlerà con il Superiore o con il Direttore e nulla intraprenderà in questa materia senza il loro consenso, affinché non accada che, comportandosi diversamente, finisca col fare la propria volontà e perfino quella del diavolo e così, in punizione del suo capriccio e della sua disobbedienza, venga da lui ingannato sotto apparenza di bene con danno per la sua anima.
Capitolo XI
Missioni e altre funzioni della Congregazione
per il bene del prossimo
1. — Nostro Signore Gesù Cristo lasciò ai suoi discepoli delle norme sul modo di fare le missioni, prescrivendo ad essi di pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe, stabilendo in quali nazioni dovessero andare, come comportarsi in viaggio, in quali case prendere dimore, che cosa predicare, di che nutrirsi, e infine come dovessero comportarsi con coloro che li avessero rifiutati. Anche noi, quindi, per quanto lo consente la nostra debolezza, conformandoci al loro esempio, osserveremo diligentemente le seguenti norme, come pure le istruzioni che si è soliti dare nella Congregazione: quelle appunto che richiamano il modello e l’ordine per svolgere in maniera adeguata le missioni e le altre nostre funzioni.
2. — Ciascuno, quando se ne presenti l’occasione, cercherà di giovare al suo prossimo con il consiglio e la correzione e lo esorterà ad operare sempre il bene. Nessuno però si assumerà l’impegno di dirigere qualcuno se non negli esercizi spirituali, nelle missioni e in quelle case della Congregazione dove i nostri esercitano la direzione delle anime, o anche in altre circostanze quando ne siano incaricati dal Superiore. Ma anche in questi casi nessuno, senza il consenso e l’approvazione del Superiore, lascerà per iscritto insegnamenti o regole di vita.
3. — Affinché ai missionari non venga giustamente rinfacciata quella famosa obiezione di san Paolo: « Come lo annunceranno, se non sono stati inviati? » (Rm 10, 15), nessuno predicherà in pubblico o spiegherà la dottrina cristiana dal pulpito se non avrà ottenuto l’approvazione dal Visitatore o dal Superiore immediato. Tuttavia nelle missioni il Direttore, quando lo ritiene opportuno davanti a Dio e teme che la risposta scritta del Superiore tardi ad arrivare, potrà sostituire temporaneamente con altri i predicatori e i catechisti, purché avverta al più presto il Superiore delle ragioni che lo hanno indotto a quelle sostituzioni.
4. — Come a nessuno dei nostri è lecito ricevere la confessione dei confratelli o di altre persone se non è stato approvato dall’Ordinario, così, per evitare possibili abusi, coloro che hanno ottenuto tale facoltà non devono esercitare questo ministero se prima non vi siano destinati dal Visitatore e dallo stesso Visitatore o dal Superiore locale applicati.
5. — I missionari che si accingono a partire per le missioni, porteranno con sé le facoltà degli eccellentissimi Vescovi nelle cui diocesi si svolgeranno le missioni e le mostreranno ai parroci o ad altri rettori delle chiese nelle quali andranno. Terminata la predicazione delle missioni, prima di tornare a casa, riferiranno ai vescovi, se a questi sembrerà opportuno, quanto è stato fatto nella missione, dopo aver interpellato il Superiore affinché designi la persona e il modo di farlo.
6. — In apertura e a conclusione delle missioni, tutti chiederanno la benedizione ai parroci e, in loro assenza, ai loro vicari; non prenderanno alcuna iniziativa di rilievo senza averla precedentemente comunicata ad essi, né intraprenderanno alcunché contro la loro volontà.
7. — Sull’esempio di san Paolo che, non volendo essere di peso ad alcuno, lavorava con le proprie mani di giorno e di notte per il sostentamento suo e dei compagni, anche noi nelle missioni non saremo d’aggravio ad alcuno, ma eserciteremo tutti i nostri ministeri gratuitamente, senza alcuna retribuzione o sostentamento materiale; tuttavia ci sarà consentito di usufruire dell’alloggio e dell’indispensabile suppellettile che ci offriranno.
8. — Quantunque ciascuno debba desiderare ardentemente e anche all’occasione chiedere umilmente di essere impiegato nell’assistenza ai malati e nel comporre liti e discordie soprattutto nel corso delle missioni, tuttavia, affinché la carità sia ben ordinata dall’obbedienza, nessuno si assumerà queste opere di misericordia senza esserne autorizzato dal Superiore.
9. — Nel proporre dubbi circa casi di coscienza che capitano in confessione, si dovrà usare grande prudenza e circospezione, in modo che non possa essere identificata la persona di cui si tratta.
Per ovviare ai mali che ne potrebbero scaturire, nessuno esporrà dubbi circa casi di coscienza di qualche rilievo conosciuto in confessione, senza essersi prima consultato con il Direttore della missione.
10. — Il nome di Missionari o Preti della Missione, che noi non ci siamo arrogati ma che per disposizione della divina Provvidenza ci è stato assegnato dalla voce unanime del popolo, dimostra a sufficienza che l’opera delle Missioni deve essere per noi la prima e la più importante fra tutti i ministeri che esercitiamo a favore del prossimo. Per questa ragione la Congregazione non deve mai trascurare le Missioni col pretesto di applicarsi ad un’altra opera santa e magari più utile, ma ciascuno rivolgerà il suo cuore ad esse con tanto amore da essere sempre pronto a predicare le Missioni, e ciò per tante volte quante gliene indicherà l’obbedienza.
11. — Poiché la direzione delle monache intralcerebbe non poco le missioni e gli altri impegni del nostro Istituto, tutti senza eccezione si asterranno assolutamente dall’assumere la loro direzione spirituale, dal visitarle, dal predicare ad esse anche nel corso delle missioni, a meno che non ne abbiano ottenuto il permesso esplicito dal Superiore almeno locale. E quantunque la nostra Congregazione sia già destinata alla direzione spirituale della Compagnia delle Figlie della Carità in forza della loro fondazione, tuttavia nessuno dei nostri assumerà la loro direzione, o si recherà da loro o soltanto si intratterrà con esse senza il permesso del Superiore.
12. — Infine tutti indistintamente si renderanno conto che non dobbiamo trascurare, sotto il pretesto delle missioni, i nostri ministeri di casa a favore degli ecclesiastici esterni, in special modo degli ordinandi e dei seminaristi, come pure a favore di quanti devono essere da noi diretti nel ritiro spirituale, poiché queste cose bisogna fare senza omettere quelle. Infatti, per obbligo di fondazione siamo tenuti quasi in uguale misura ad assolvere e l’uno e l’altro compito tutte le volte che i vescovi o i superiori si rivolgono a noi, per quanto le missioni siano sempre da preferirsi. Risulta, però, per lunga esperienza, che i frutti ottenuti dalle stesse missioni difficilmente possono durare a lungo senza la collaborazione dei parroci, alla cui perfezione sembrano contribuire non poco i predetti ministeri. Perciò ciascuno si offrirà volentieri a Dio per adempierli esattamente e devotamente. Per raggiungere più compiutamente e più facilmente questo scopo, ciascuno cercherà di attuare con esattezza quelle istruzioni che a tal fine i superiori sono soliti dare.
Capitolo XII
Alcuni mezzi e aiuti necessari
per compiere bene e con frutto
i nostri ministeri
1. — Poiché già all’inizio di queste Regole o Costituzioni la Congregazione si propose di imitare Cristo che cominciò a fare e ad insegnare, così è necessario mettere in rilievo, in quest’ultimo capitolo, che essa intende imitare Cristo anche in questo: che Egli fece bene tutto. Infatti, tutto ciò che faremo di buono merita il castigo piuttosto che il premio se non lo avremo fatto bene. Perciò si ritiene opportuno aggiungere questi pochi insegnamenti e mezzi atti a svolgere bene i ministeri di cui si è parlato: tutti i nostri missionari procureranno di praticarli diligentemente.
2. — In tutti gli impegni e soprattutto nella predicazione e nelle sacre funzioni della Congregazione ciascuno farà il possibile per sentirsi animato dalla purissima intenzione di piacere solo a Dio; intenzione che rinnoverà di tanto in tanto, specialmente all’inizio delle principali azioni. In primo luogo starà attento a respingere ogni desiderio di essere gradito agli uomini con le sue prestazioni o di ricavarne una soddisfazione personale, dato che un simile sentimento potrebbe inquinare e snaturare ogni più santa azione, come insegna Cristo: « Se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso » (Mt 6, 23).
3. — Può accadere talvolta, come dice san Paolo, che avendo cominciato con lo spirito si finisca con la carne. Questo normalmente succede quando, assolto il nostro compito con successo e con l’applauso umano, ci lasciamo lusingare vanamente da una futile compiacenza, oppure quando ci sentiamo talmente depressi e insopportabili a noi stessi che non sappiamo darci pace se la nostra prestazione ha avuto un esito poco soddisfacente. Per porre rimedio al primo inconveniente dovremo tenere sempre davanti agli occhi questa verità: che a Dio spetta ogni gloria, mentre a noi è riservata solo la confusione. Inoltre c’è sempre da temere molto che, compiacendoci vanamente degli applausi, si debbano poi ascoltare queste parole di Cristo: « In verità vi dico, avete ricevuto la vostra ricompensa » (Mt 6, 2). Il rimedio per il secondo inconveniente sarà questo: rifugiarsi sempre nel sentimento della vera umiltà e nell’amore della propria abiezione che il Signore esige da noi in quel momento; inoltre riflettere attentamente che molto spesso il sopportare pazientemente simili contraddizioni procura tanta gloria a Dio e vantaggio al prossimo, quanto ne possiamo sperare dalle prediche gradite al popolo e apparentemente ricche di frutti.
4. — Poiché quei due gravi inconvenienti così dannosi ai predicatori che sono la vana compiacenza e l’inquietudine eccessiva possono scaturire anche dalle lodi o dalle critiche ascoltate a riguardo delle prediche tenute in pubblico, nessuno loderà i nostri, specialmente in loro presenza, per le rare doti di natura o di arte e soprattutto per le prediche pronunciate con eloquenza e pubblicamente applaudite; né, al contrario, li biasimerà per insufficienza ed eloquenza o per altre manchevolezze riscontrate nelle prediche. Se poi qualcuno avesse bisogno di un complimento per ritemprare la sua timidezza o di un richiamo per frenare la smania di successo, questo sarà compito del Superiore o di altra persona da lui incaricata per intervenire con prudenza e in privato nell’uno e nell’altro caso. Non sarà proibito tuttavia di tanto in tanto elogiare i nostri per gli atti di umiltà, di mortificazione, di semplicità e di altre simili virtù, compiuti proprio nello svolgimento della predicazione, purché lo si faccia con sobrietà, discrezione, in loro assenza e davanti a Dio.
5. — Anche se la semplicità, che è virtù primaria e tipica dei missionari, deve essere da noi praticata sempre e dovunque, tuttavia la eserciteremo con più impegno nelle missioni, soprattutto quando annunciamo la parola di Dio alla gente della campagna in quanto anime semplici alle quali, per bocca nostra, parla il Signore. Perciò lo stile delle nostre prediche e catechismi sarà semplice, accessibile al popolo, in conformità col metodo semplice in uso da sempre nella nostra Congregazione. Ciascuno quindi disdegnerà una dizione sdolcinata e artificiosa; sulla cattedra della verità non andrà alla ricerca di concetti bizzarri e astrusi o di sciocche facezie, riflettendo bene che Cristo Signore e i suoi discepoli usarono un linguaggio semplice e in tal modo raccolsero una abbondantissima messe e frutti copiosi.
6. — Coloro che dovranno occuparsi dei seminari esterni, della direzione degli ordinandi, delle conferenze ai parroci e agli altri ecclesiastici, o di ministeri simili, useranno anch’essi un linguaggio semplice e popolare; inoltre si impegneranno, con l’esempio e la parola, a farli progredire non meno nella pietà che nella scienza; soprattutto si sforzeranno di trattarli con grande umiltà, mitezza, rispetto e affabilità. Nella stessa maniera dovranno comportarsi, per quanto è possibile, coloro che saranno addetti alla predicazione degli esercizi spirituali.
7. — Poiché le idee nuove ed eccentriche in generale recano danno ai loro fautori e ai loro seguaci, tutti si guarderanno da simili novità e singolarità; anzi, per quanto è possibile, tutti concorderanno nella dottrina, nel parlare e nello scrivere, in modo che, come dice l’Apostolo, tutti abbiamo gli stessi sentimenti ed esprimiamo anche uno stesso insegnamento.
8. — Poiché, come dice san Zenone, « la curiosità rende l’uomo colpevole e non dotto » e l’Apostolo aggiunge: « la scienza gonfia » (1 Cor 8, 1), soprattutto quando si trascura il suo consiglio che è « non voler sapere più di quanto è necessario, ma soltanto nella giusta misura » (Rm 12, 3); in ragione di ciò tutti, ma in modo particolare gli studenti, staranno bene attenti a non lasciarsi travolgere da una disordinata bramosia di sapere; tuttavia non tralasceranno di applicarsi seriamente negli studi, per essere in grado di assolvere con competenza i ministeri del missionario. Nondimeno la loro preoccupazione prevalente sia quella di imparare la scienza dei santi, che si apprende alla scuola della croce, tanto da non sapere predicare altro che Gesù Cristo, sull’esempio dello stesso Apostolo il quale, scrivendo ai Corinti, confessa candidamente che ritenne di non sapere altro in mezzo a loro se non Gesù Cristo, e questi crocifisso (cf. 1 Cor 2, 2).
9. — Fra tutti gli insegnamenti evangelici necessari a coloro che lavorano nella vigna del Signore, il più degno di attenzione è questo: « Chi tra voi vuol essere il più grande si faccia come il più piccolo e il servo degli altri » (Mt 20, 26). Infatti se mai la Congregazione dovesse abbandonare la pratica di questo insegnamento, ben presto si scatenerebbe una sregolata avidità di gloria ed essa andrebbe completamente in rovina. Una tale avidità, infatti, insinuandosi molto facilmente negli animi già per natura proclivi all’orgoglio, li trascinerebbe a molti mali e specialmente ad ambire uffici di prestigio, a nutrire invidia verso coloro che ne sono stati insigniti o anche a ricercare la propria soddisfazione, qualora fossero stati elevati a quelle cariche. Essi poi, sedotti e ingannati dall’illusorio splendore di quella gloria meschina nella quale aguzzano attoniti lo sguardo, ignari del vicino precipizio, finiscono per cedervi miserevolmente. Perciò nulla dovrà essere per noi più urgente quanto il fuggire questo morbo della superbia. Se poi l’ambizione si è già impadronita del nostro cuore, occorrerà, come abbiamo visto che il Signore prescrive, ricacciarla con un atto sincero di umiltà con il quale ci sforziamo di renderci meschini ai nostri occhi, aspirando ad essere collocati sempre all’ultimo posto. Che se poi dovessimo sentirci già contaminati dalla vana gloria per gli uffici e gli incarichi di prestigio che svolgiamo, questo sarà il rimedio: chiedere al più presto al Superiore, pur con la dovuta sottomissione, che ci rimuova da questi incarichi e che ci assegni, a suo piacimento, qualche ufficio di poco conto.
10. — Tutti dimostreranno particolare sollecitudine nel reprimere ogni sintomo di invidia che può essere originata dal fatto che altre Congregazioni ci siano superiori di fama, popolarità e incarichi onorifici. Ora dobbiamo essere fermamente persuasi che l’essenziale è che Cristo venga annunziato, non importa da chi, e se noi sappiamo godere del bene operato da altri ne otterremo meriti e grazie uguali, e forse maggiori, che se fossimo noi ad operarlo con la nostra personale soddisfazione e forse con minore purezza di intenzione. Perciò ciascuno si proponga di rivestirsi dello spirito di Mosé il quale, sollecitato a impedire che alcuni profetassero, replicò: « Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito! » (Nm 11, 29). Inoltre riterremo tutte le altre Congregazioni più rispettabili della nostra, pur riservando ad essa un più tenero affetto, come fa un fanciullo di buona indole che ama sua madre, anche se povera e priva di bellezza, più di tutte le altre donne, anche se ricche e avvenenti. è chiaro tuttavia che questo tenero amore deve essere rivolto soltanto alle persone, alle virtù e alla grazia della stessa Congregazione, non a ciò che in essa troviamo di piacevole per noi e di pregevole agli occhi degli altri. è appunto la stima altrui che ci sforzeremo con ogni cura di aborrire e di fuggire non solo quando riguarda tutta la Congregazione, a tal punto che non ci accontentiamo di sottrarci alla stima e agli applausi degli altri, ma desideriamo piuttosto l’umiliazione e il nascondimento nel Signore, ravvisando nella Congregazione quel granello di senapa che, se non è seminato e sepolto sottoterra, non può crescere né produrre frutto.
11. — Parimenti ci guarderemo da due altri vizi che sono in opposizione tra loro non meno che allo spirito della Missione, e tanto più dannosi quanto meno ne hanno l’apparenza per il fatto che impercettibilmente si camuffano tanto da essere molto spesso contrabbandati per vere virtù. Questi sono appunto lo spirito di accidia e lo zelo indiscreto. Ora il primo, insinuandosi a poco a poco nell’anima col pretesto che il corpo va trattato con cautela per conservarlo in salute affinché si mantenga idoneo al servizio di Dio e a vantaggio delle anime, ci porta a ricercare gli agi del corpo e a rifuggire lo sforzo richiesto dall’esercizio della virtù. Questo sforzo poi viene falsamente dipinto molto più gravoso di quello che è, tanto da farlo apparire quasi odioso, mentre dovrebbe essere sempre e per tutti desiderabile. In questo modo incorriamo in quella maledizione pronunciata dallo Spirito Santo contro quegli operai che compiono le opere di Dio con negligenza e inganno. Il secondo (vizio) invece, nascondendo il nostro amor proprio o il nostro sdegno, ci spinge a una eccessiva asprezza sia verso i peccatori che verso noi stessi o, anche in contrasto con l’obbedienza, a caricarci di fatiche superiori alle nostre forze, con pregiudizio della salute del corpo e dell’anima, per poi indurci a ricercare affannosamente cure mediche e renderci così indolenti e viziosi. Dobbiamo quindi impegnarci al massimo per evitare questi due estremi e tenere la via di mezzo. Questa poi ci verrà indicata dalle Regole o Costituzioni bene interpretate ed esattamente osservate, nonché dalle labbra di coloro che sono i depositari della saggezza nelle cui mani, per speciale disposizione di Dio, sono poste le anime nostre, a patto che con animo umile e fiducioso, tutte le volte che ce ne sarà bisogno, apprendiamo dalla loro bocca ciò che vuole la legge e accettiamo docilmente in tutto la loro direzione.
12. — Anzitutto dobbiamo imprimere nella mente che sebbene abbiamo l’obbligo di essere sempre forniti di quelle virtù che costituiscono lo spirito della Missione, tuttavia diventa urgente porle in atto soprattutto quando giunge il tempo di esercitare i nostri ministeri tra la gente della campagna; e allora dobbiamo considerarle come le cinque levigatissime pietre di David con le quali, nel nome del Signore degli eserciti, percuoteremo e abbatteremo al primo colpo l’infernale Golia e ridurremo in potere di Dio i filistei, cioè i peccatori. Prima però dovremo deporre l’armatura di Saul e armarci con la fionda di David. Ciò accadrà se, con l’Apostolo, procederemo nell’evangelizzazione non già con dotti e persuasivi argomenti di umana sapienza, ma con la scienza e con la manifestazione dello spirito e della sua potenza (cf. 1 Cor 2, 4), nonostante il nostro disadorno linguaggio. Sappiamo infatti che se è vero, come insegna lo stesso Apostolo, che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole, stolto e spregevole, per confondere i sapienti del mondo e distruggere ciò che è potente, c’è da sperare che Egli, nella sua infinita bontà e nonostante siamo operai indegnissimi, conceda a noi la grazia di collaborare con Lui, sia pure in piccola misura, alla salvezza delle anime e specialmente dei poveri della campagna.
13. — Tutti nutriremo profondo rispetto e affetto per le Regole o Costituzioni, anche per quelle che dovessero sembrare di non rilevante importanza, considerandole come mezzi offertici da Dio stesso per raggiungere una perfezione adeguata alla nostra vocazione e di conseguenza ottenere più facilmente e con maggior merito la salvezza dell’anima. Perciò tutti formeranno spesso ferventi e generosi desideri di osservarle fedelmente. Se poi qualcuna di esse ripugnasse alla nostra mentalità o alla nostra sensibilità, ci sforzeremo ininterrottamente di dominare queste nostre ripugnanze e di piegare la nostra natura riflettendo, come insegna Cristo, che il Regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono.
14. — Affinché queste Regole o Costituzioni comuni, come pure quelle particolari riguardanti i singoli uffici, rimangano ben salde nella memoria e nel cuore e quindi siano osservate con più esattezza, ciascuno le terrà presso di sé, le leggerà o le udrà leggere almeno ogni due mesi e procurerà di interpretarle nel modo giusto. Inoltre qualche volta all’anno ciascuno chiederà umilmente penitenza al Superiore per le sue inadempienze in questa materia, affinché possa più facilmente impetrare dal Signore il perdono delle sue mancanze e riprendere coraggio per evitare ricadute future. Anzi la fedeltà che tutti avranno dimostrato in questa pratica sarà la verifica della fedeltà di cui hanno dato prova nell’osservanza delle Regole o Costituzioni e al tempo stesso testimonianza che essi aspirano sinceramente alla propria perfezione. Se poi qualcuno noterà qualche progresso nella loro osservanza, ne ringrazierà Cristo Signore e lo supplicherà di concedere a lui personalmente e all’intera Congregazione la grazia di migliorare ancora per l’avvenire. Infine, secondo le parole di Cristo, dobbiamo rimanere saldi in questa convinzione che, quando avremo fatto tutto quello che ci è stato ordinato, ci rimarrà da dire: « Siamo servi inutili; abbiamo fatto ciò che dovevamo fare; anzi senza di Lui non avremmo potuto fare nulla ».